Bentornate e bentornati a Ecovandali, la newsletter di A Sud che mette in fila i danni delle speculazioni ambientali in Italia. A fine maggio, a Roma, al Quarticciolo, abbiamo presentato il primo numero, quello dedicato al porto crocieristico di Fiumicino. Per noi è stato molto utile ascoltare gli aggiornamenti dei comitati, i prossimi passi della vertenza e i punti di connessione con le lotte romane contro la cementificazione.
Questa rubrica è anche un modo per incontrarsi, per stare insieme e ragionare di conflitti ambientali in maniera locale ma non localista.
Se vi va, segnalateci un ecovandalo del vostro territorio! Così veniamo a trovarvi e possiamo organizzare insieme un evento per raccontare gli impatti sociali delle opere che imbrattano il futuro.
Ora cominciamo!
Questo mese Serena Cati e Alessandro Coltré ci portano a Carrara, a Massa e in tanti piccoli comuni minacciati dagli ecovandali delle Alpi Apuane.
In The Brutalist il premio Oscar Andrey Brodi è un architetto ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio e alle atrocità del Novecento. Uscito nel 2024, diretto da Brady Corbet, il film segue l’odissea di un uomo che trasformerà la sua vita plasmando il marmo di Carrara.
Su Vogue, The Brutalist viene recensito attraverso una glorificazione delle “bianche ferite nella roccia, gallerie scavate a mano e panorami mozzafiato”. Le inquadrature di Corbet ci accompagnano nel cuore delle Alpi Apuane con una luce che estetizza i gradoni delle cave, i blocchi di marmo e ogni centimetro di spazio generato dall’estrazione dell’oro bianco.
Difficile non rimanere affascinati da questo paesaggio lunare e dall’epica del marmo di Carrara, ma per comprendere i rischi che stanno correndo oggi le montagne toscane dobbiamo fare uno sforzo di lucidità.
Spegniamo le telecamere di Hollywood. Congediamoci dal marketing territoriale. Ignoriamo i pacchetti turistici che propongono aperitivi e “un’emozionante avventura off road all’interno delle cave di marmo di Carrara, lungo i percorsi di Michelangelo, Bernini e Canova”.
Cosa rimane? Una montagna fatta a pezzi.
Il volto dell’estrattivismo
Affacciate sul Tirreno tra la Versilia e la Garfagnana, le Alpi Apuane sono il simbolo drammatico dell’estrattivismo in Europa. Magnifiche e fragili per la loro natura carsica, scolpite dall’acqua e dal tempo, oggi sono lacerate dall’industria del marmo, che ne consuma il corpo fino a ridurle in polvere. Nonostante ospitino ecosistemi di valore riconosciuti dall’UNESCO, le Alpi Apuane sono state trasformate in un dispositivo planetario di consumo e disuguaglianze.
L’antico mestiere del cavatore, legato alla conoscenza intima della montagna, è stato sostituito da manodopera precaria e meccanizzata, mentre il controllo delle cave è passato dalle cooperative locali a multinazionali e fondi stranieri.
Le ferite inferte alla montagna sono le tracce del saccheggio ambientale provocato dal sistema estrattivista: lo svuotamento delle risorse naturali produce un conflitto tra chi accumula ricchezze e chi invece deve fare i conti con gli impatti ambientali e sociali di queste operazioni.
La ricchezza prodotta dall’escavazione non resta sul territorio. Se nel 1926 i cavatori erano oltre 14.000, oggi l’intera filiera occupa meno di 2000 persone.
Solo una minima parte è costituita da lavoratori diretti assunti dalle ditte private che gestiscono le cave. Questo in una provincia con 195.000 abitanti e i più alti tassi di disoccupazione giovanile del Centro-Nord. A questa crisi sociale e ambientale si intreccia una storia di lotte operaie e di ribellioni.
Il mito del marmo e le lotte sociali
Carrara ha un legame profondo con la tradizione anarchica: già alla fine dell’Ottocento, molti operai delle cave di marmo scelsero l’anarchia per ribellarsi allo sfruttamento dei padroni e per chiedere condizioni di lavoro più dignitose. Da allora, in quasi ogni comune e frazione del territorio carrarese sono nati circoli e camere del lavoro anarchiche. A Gragnana, frazione di Carrara, è ancora attivo il circolo anarchico più antico del mondo, fondato nel 1885.
Dalla Camera del Lavoro anarchica di Alberto Meschi fino all’attuale Lega dei Cavatori, l’estrazione di risorse dalla Apuane resta legata a lotte sindacali per la sicurezza sul lavoro in un settore in cui il tasso di incidenti rimane alto.
Il racconto egemonico continua a glorificare il binomio Carrara è il marmo, il marmo è Carrara cancellando la devastazione ambientale e sociale in atto.
La voce di Alberto Grossi, ambientalista e regista, ci aiuta a picconare il mito romantico del cavatore senza cadere nella trappola della colpevolizzazione. Oggi i cavatori non esistono più: al loro posto ci sono operatori di macchina, precari e spesso provenienti da fuori, che manovrano con joystick e leve, lontano da ogni relazione viva con la montagna. Quel sapere incarnato, fatto di gesti tramandati e conoscenza del territorio è stato sostituito da un lavoro meccanico e alienato, in un contesto in cui la scelta è solo apparente.
L’“aut-out”, come lo definisce Grossi, non ricade solo sulle spalle di chi lavora, ma sull’intero territorio: accettare lo sfruttamento o rimanere senza lavoro.
“Non è una vera alternativa. L'aut-out: puoi prendere questo o quello, cosa scegli? No, non c'è scelta. Fingono di darti una scelta, in realtà ti dicono, o fai così o sei fuori.”
Alberto Grossi, ambientalista e regista
Per approfondire la storia del conflitto ambientale che coinvolge le Alpi Apuane, è possibile consultare l'Atlante Italiano dei Conflitti Ambientali, la piattaforma del nostro centro di documentazione che raccoglie le vertenze ecologiste in corso in Italia. La scheda sulle Apuane ricostruisce nel dettaglio le fasi del conflitto, gli attori coinvolti e gli impatti sul territorio.
Montagne in polvere
Nelle Alpi Apuane sono attualmente attive più di 160 cave, di cui circa 100 ricadono nel parco Naturale Regionale delle Alpi Apuane. L'estrazione coinvolge in particolare Massa, Carrara, Vagli di Sotto, Seravezza, Stazzema e Minucciano e altri comuni più piccoli ancora incatenati alla storia del marmo, nonostante ormai siano pochi i blocchi destinati a far esprimere il genio umano.
Secondo un dossier di Legambiente, tra il 2005 e il 2022 nelle cave attive sono state estratte più di 68 milioni di tonnellate di materiali.
Dimenticate Michelangelo e Bernini! Di questa enorme quantità, solo il 22,8% è costituito da blocchi di marmo pregiato, mentre il restante 77,2% è scarto. Oggi il marmo delle Apuane non si trasforma in statue o in opere architettoniche, ma in dentifrici, vernici, creme solari, pesticidi e plastica. Le Alpi Apuane sono composte principalmente da marmo bianco, da cui si può ottenere un carbonato di calcio purissimo utilizzato come base di molti prodotti di uso quotidiano.
Il mercato dei detriti nasce intorno agli anni ‘80: il business della polvere apuana ha trasformato le cave in feudi molto redditizi per le multinazionali del carbonato di calcio. La storia del marmo di Carrara racconta un cambio di percezione: con la valorizzazione degli scarti non c’è più una catena montuosa, ma una miniera.
A consacrare questo modello estrattivo è stata la multinazionale Svizzera Omya, quando nel 1988 acquisisce lo stabilimento di Avenza (frazione del comune di Carrara) e inaugura il mercato del carbonato di calcio. Prima di allora, ciò che contava era solo il blocco perfetto, da quel momento in poi, anche il detrito avrà valore.
La montagna viene così sbriciolata, privata della sua consistenza eterna, per essere trasformata in prodotti industriali. Un passaggio che ha segnato l’espansione del sistema estrattivo apuano, con la riapertura di cave che non producevano blocchi da decenni.
Il saccheggio
Le cave generano un valore produttivo che sfiora i 200 milioni di euro, mentre le imprese specializzate nella trasformazione del materiale lapideo raggiungono un giro d’affari di circa 800 milioni. Il fatturato complessivo del settore si attesta vicino alla soglia del miliardo. Ma chi ha le mani sull’oro bianco? Il rapporto tra istituzioni pubbliche e sfruttamento del marmo in Toscana affonda le radici in un antico provvedimento.
Nel 1751 Maria Teresa Cybo-Malaspina, principessa di Carrara, concesse ad alcuni privati l’utilizzo di determinate cave. A distanza di secoli, la situazione resta in buona parte invariata: nonostante i tentativi della Regione Toscana di modificare il quadro normativo, nel 2016 la Corte Costituzionale ha sancito che le cave più antiche possono rimanere in mano ai privati. E tra i signori del marmo c’è anche la famiglia di Osama Bin Laden.
Nel 2014 la famiglia Bin Laden – da anni tra i principali clienti del marmo carrarese – ha acquisito il 50% della Marmi Carrara, uno dei maggiori operatori del settore. Quest’ultima detiene a sua volta metà delle quote della Società Apuana Marmi (Sam), che controlla circa un terzo delle concessioni estrattive nelle cave di Carrara.
Cattivi pagatori
Gli ecovandali delle Apuane sono anche dei cattivi pagatori. Lo sa bene il comune di Massa. Molte delle aziende che operano nelle cave hanno morosità risalenti a 3 e 4 anni fa. Parliamo di più di un milione di euro. Quei soldi dovrebbero essere nelle casse comunali con destinazioni specifiche: manutenzione delle strade attraversate dai camion del marmo, progettazione ambientale e compensazioni.
Ipotesi di danno erariale, usi civici calpestati, aree protette ignorate: i concessionari delle cave sentono di avere una legittimità che consente ogni tipo di manovra. Accade soprattutto nei piccoli comuni: a Minucciano, paese di 1700 abitanti in provincia di Lucca con più di 15 cave attive.
Qui gli escavatori sembrano vincere su tutto: sulle normative, sul Piano d’Indirizzo Territoriale della Regione e su ogni tipo di politica pubblica. Molte delle cave di Minucciano rientrano in aree vincolate e in zone demaniali. In particolare, i terreni appartenenti ai demani civici sono destinati per legge, in modo permanente, ad attività agricole, forestali e al pascolo. E invece sulle montagne di Minucciano, sulle sue terre pubbliche, le rocce delle Apuane vengono distrutte dal filo diamantato.
Il filo diamantato
Frantumare le rocce resta un lavoro pericoloso. Le nuove tecniche di estrazione hanno eliminato la fatica e il rischio di saltare in aria, ma le morti bianche avvengono ancora. Fino al Settecento, si lavorava a mano, con strumenti molto semplici e tanta fatica, e il taglio avanzava di pochi centimetri al giorno. Poi arrivò l’esplosivo: più veloce, ma con grossi rischi e molta perdita di materiale. Sul finire dell’Ottocento si passò al filo elicoidale, una tecnica più precisa, e infine, nel 1978 al filo diamantato, la tecnologia che ha cambiato radicalmente questo mestiere.
La produttività per dipendente è passata così da 50 tonnellate all’anno a oltre 1000. Il filo diamantato ha reso il lavoro in cava veloce e ad alta intensità.
Chi gestisce le cave ingaggia ogni giorno una lotta con le Apuane, spingendo poche decine di operai oltre i 1200 metri di quota, violando il limite imposto dalla normativa nazionale. Le deroghe regionali, giustificate da motivi socio-occupazionali, scavalcano questa soglia e a pagarne il prezzo più alto sono i lavoratori.
In cava, come duecento anni fa, si muore ancora.
Uno degli ultimi incidenti mortali è avvenuto il 28 aprile, giornata mondiale per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro. Paolo Lambruschi ha perso la vita in una cava di Carrara schiacciato dal peso del dumper, un camion utilizzato per il trasporto dei detriti.
Se le prescrizioni ambientali, poche e fragili, vengono spesso ignorate, le modalità di lavoro lasciano la possibilità di infortuni e di incidenti quotidiani. A volte assunti da cooperative poco trasparenti, altre da aziende evanescenti, i lavoratori sono sempre più soli.
Ogni incidente viene raccontato come una distrazione, un passo falso che è costato la vita. Morire in cava diventa una colpa personale.
La marmettola
Se il marmo è il protagonista, la marmettola è la sua ombra subdola e tossica. È una polvere ultrafine che nasce dal taglio del marmo: un composto di carbonato di calcio, acqua e additivi chimici, arricchito da oli, grassi lubrificanti e metalli pesanti derivati dai macchinari. Benché venga considerata rifiuto speciale, nella realtà viene spesso abbandonata illegalmente nei piazzali, nei ravaneti, nei fossi o nelle cavità carsiche, da dove le piogge la trascinano verso fiumi, torrenti e falde.
La marmettola cementifica i letti fluviali, soffoca le sorgenti, ostruisce le vie dell’acqua e ne riduce la capacità di filtrazione. Il risultato? L’acqua che scorre dalle Apuane, la più importante riserva idrica della Toscana, è oggi più torbida, più carica di detriti, meno limpida e sempre più contaminata.
Studi recenti documentano un drammatico peggioramento nella qualità e nella quantità dell’acqua nella zona apuo-versiliese. Eppure, nel pieno della crisi climatica, mentre si parla di razionalizzazione delle risorse idriche, le vene d’acqua della montagna vengono sacrificate in silenzio sull’altare dell’estrazione.
Se lasciata esposta, la marmettola con la pioggia diventa una fanghiglia melmosa; una volta asciutta, si trasforma in una crosta impermeabile che impedisce ogni forma di vita nei suoli e nei corsi d’acqua.
In un territorio carsico come quello delle Apuane, capace di assorbire fino al 90% delle precipitazioni, la marmettola rompe un equilibrio millenario. La pioggia che un tempo si infilava nella roccia e ricaricava le sorgenti, oggi scorre in superficie, trascinando con sé scarti, detriti e fanghi verso il mare.
È proprio questa impermeabilizzazione a far scomparire il reticolo idrografico e a favorire fenomeni di alluvione, ormai documentati con preoccupante frequenza. Sono stati infatti otto in vent’anni.
Le gallerie, dove si scava anche sopra la soglia dei 1200 metri imposta dalle norme nazionali, presentano un rischio ancora maggiore. Troncano le vie d’acqua sotterranee, intercettano falde e fossi censiti, e rilasciano marmettola direttamente al di sopra delle sorgenti.
A pagare non è solo l’ambiente, ma anche i lavoratori e le lavoratrici delle cave, esposti a un ecosistema sempre più instabile, pericoloso e imprevedibile.
Una parte per definire tutto
Il conflitto ambientale in corso sulle Alpi Apuane racconta le conseguenze delle identità territoriali elevate a simboli eterni. Il marmo assurge a icona, diventa materia sacra da onorare. Pensare Carrara senza le cave è una bestemmia.
Ne abbiamo parlato con Chiara Braucher, ricercatrice dell’Università di Trento, si occupa di sfruttamento dei territori montani, abita e fa attivismo in provincia di Massa Carrara. (Leggi qui la trascrizione)
Carrara è il marmo è una narrazione che produce una sostituzione, una sorta di sineddoche, quella figura retorica in cui si parla di una parte per definire un tutto. Questa frase vuole essere fatta passare come un'unica storia del passato, un'unica tradizione e ineluttabile prospettiva per il futuro.
Chiara Braucher, ricercatrice Università di Trento
Apuane Libere e resistenti
Dal 25 aprile 2021 le montagne toscane hanno una difesa in più: è Alpi Apuane Libere, un’associazione che tiene insieme escursioniste, escursionisti, attiviste e attivisti che denunciano le ferite inferte alle montagne. Con Apuane Libere le montagne tornano a essere delle soggettività, non più location esclusiva, né miniera d’oro bianco, ma corpo vivo e interconnesso che respira attraverso le sue acque, i suoi suoli e le sue creature.
Marco Giudici di Apuane Libere che ci ha portato nei siti estrattivi facendo precipitare tutte le retoriche sulla bellezza delle cave.
“Cerchiamo di fare un duplice lavoro, uno di divulgazione sulla biodiversità delle Apuane, con escursioni e con percorsi di formazione, l’altro di denuncia con video della marmettola che invade i fiumi, ricorsi al tar e con osservazioni nelle conferenze dei servizi. In quattro anni di vita siamo arrivati a 83 denunce. Nessuna di queste ha portato a una chiusura, ci sono state però delle sospensive. In generale ora chi gestisce le cava sa di avere una controparte sociale che non accetta la devastazione delle Apuane. Nonostante tutto l’impegno, purtroppo, i profitti delle aziende crescono, e noi dobbiamo raccogliere solo le briciole”
Marco Giudici, Alpi Apuane Libere
La tossicità di un immaginario
Chi si oppone all’estrazione delle cave vuole spezzare un automatismo, ossia l’idea che questo territorio possa pensarsi solo in relazione al mito del marmo. La marmettola, le morti bianche, le Apuane fatte a pezzi per i profitti di pochi restituiscono la tossicità di questo immaginario. Non più vocazione o possibilità economica. Il binomio Marmo è Carrara, Carrara è il marmo resta solo un feticcio polveroso.
Questa puntata di ecovandali finisce qui!
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Per saperne di più
L’estrattivismo uccide di Chiara Braucher su Jacobin
Il marmo della Duchessa di Bernardo Iovene su Report Rai3
X Town Carrara, Scomodo
Marco Revelli, Il contro in testa. Gente di Marmo e di Anarchia, Laterza 2012